AMBURGO 2017 – WELCOME TO HELL!

“Benvenuti all’Inferno”, questo lo slogan che ha accompagnato la chiamata di migliaia di persone ad Amburgo per lottare contro il G20.

Ora, per capire di che inferno si tratti, bisogna provare a guardare la faccenda da più punti di vista.

La prima e più inevitabile spiegazione è che Amburgo sarà un inferno per politici, banchieri e polizia. Gli individui che sono scesi in piazza in maniera conflittuale lo hanno dimostrato.

Seconda possibilità, meno scontata ma più suggestiva, è che l’inferno di cui si parla, come ci ricorda Dylan Dog, è quello dei vivi, di noialtri. Quotidianamente siamo i benvenuti nell’inferno del potere e dello Stato, del denaro e del Capitale, della burocrazia, dei tribunali e della Legge, delle carceri, delle scuole, del lavoro salariato sempre uguale a se stesso, condannati come siamo a ripetere le nostre giornate sempre in maniera identica. Scriveva Calvino: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”

Ecco, per fare spazio a ciò che non è inferno occorre fare il vuoto.

Il vuoto, in un mondo in cui l’inferno ha conquistato ogni centimetro di spazio, penetrando fin nelle nostre menti e corpi, è rivoluzionario. Di fronte al rischio dell’apatia, di fronte a così tanti nemici e così tanto inferno che si rischia di non sapere dove attaccare, la questione è di cominciare a farlo.

Distruggere, creare il vuoto, non lasciare incancrenire la rabbia, che altrimenti comincia a roderci dentro. Il piacere di creare o sognare mondi diversi necessita il piacere della distruzione. In tutto questo inferno, infatti, soffoca.

Ed è solo in questa oscillazione, tra distruzione necessaria e tensione utopica alla creazione, che si dà la possibilità di distruggere il potere.

Per questo occorre dar seguito allo slogan “Welcome to Hell”, poiché, nella spettacolarizzazione mediatica del blocco nero e del turismo da scontri, rischia di venire schiacciato, e questo non possiamo permettercelo. In questo slogan, infatti, ci rivediamo le nostre vite.

In questa galera chiamata società, nella quale il lavoro rende liberi e l’inferno è quotidiano, il respiro della rivolta è l’unico che può darci ossigeno, mentre il suo ritmo, dato dal suo avanzare ed arretrare nella società e negli individui che ci circondano, scandisce i nostri cuori.

Libertà per chi, di giorno o di notte, individualmente o in gruppo, con i mezzi ritenuti più coerenti con il fine della distruzione di ogni potere e delle diverse forme di dominio, sceglie di agire.

Libertà per chi era ad Amburgo!

Pisa, luglio 2017                                            

La Ciurma del Galeone Occupato

LO STATO UCCIDE – MARCELLO LONZI NON SI DIMENTICA

 

L’11 luglio 2003 muore a Livorno, nel carcere Le Sughere, Marcello Lonzi di 29 anni. Marcello venne arrestato per tentato furto e condannato a nove mesi di reclusione; dopo quattro mesi morì in carcere.

L’autopsia rilevò la presenza di otto costole rotte, due denti spezzati, due buchi in testa, di cui uno profondo fino all’osso con tracce della vernice blu scura delle sbarre della cella, mandibola, sterno e polso fratturati.

Nonostante ciò, secondo il parere del medico legale Alessandro Bassi Luciani, la morte fu dovuta “a causa naturale, e cioè a sindrome della morte improvvisa conseguente, con maggior probabilità, ad aritmia maligna in soggetto portatore di ipertrofia ventricolare sinistra e di coronasclerosi con severa stenosi del ramo discendente della coronaria sinistra.

Coloro che difendono il potere e la tortura hanno avuto il coraggio di dire che le ferite sono state causate dalla caduta di Marcello contro le grate della cella al momento dell’infarto.

Lo stesso anno Bassi Luciani verbalizzò un’altra “morte d’infarto” per coprire la verità su di un trentenne, detenuto e morto nel carcere di Pisa a causa di una crisi asmatica dovuta alla mancanza di un nebulizzatore nella cella di isolamento in cui era rinchiuso; morte pervenuta dopo cinque ore di agonia.

Oggi 15 giugno 2017 siamo qui, davanti all’Istituto di Medicina Legale, luogo in cui attualmente lavora quel pezzo di merda di Alessandro Bassi Luciani, a urlare che noi non dimentichiamo la sua collaborazione con le istituzioni nell’insabbiare le morti per mano dello Stato.

 

Con Marcello e con tutte le persone uccise dal carcere.

Pisa, giugno 2017 La Ciurma del Galeone Occupato 

QUATTRO GIORNATE CONTRO IL CARCERE

Morire in carcere, morire all’interno di tre muri freddi e spogli e una fila di sbarre di ferro. Lontano dall’affetto di quelle persone di cui la vita ti ha circondato.

Negli ultimi istanti essere privato non solo della dignità, ma anche dell’affetto rassicurante di madri, padri e amici. Lasciare la vita e avere come ultime immagini le disgustose facce sudate di qualche servetto di Stato. Facce distorte dalla ignobile violenza che sfogano su di te, sul tuo corpo, sul tuo io più profondo. Chi può sapere e comprendere la paura e il dolore che si provano in quel momento? Chi può sapere e comprendere quello che si prova a sentirsi dire da qualche macellaio in divisa che tuo figlio è morto, morto ammazzato, torturato e gettato in un angolo? O magari sentirsi dire che sì, è morto, ma morto di un malore, un malore che gli ha fratturato le ossa. Che gli ha lasciato come ultimo e meschino “regalo” un po’ della vernice blu della cella all’interno del corpo. Quasi come un marchio. Il marchio dello Stato. Il carcere è un luogo di solitudine, annichilimento e dolore. “Vive” di proprie regole, dettate ad arte da qualche laido opulento politico in giacca e cravatta e messe in pratica da picchiatori in divisa: i secondini. Il carcere è un’istituzione pensata per punire attraverso l’annientamento, la tortura e la privazione. La concretizzazione di un sistema fondato sulla prevaricazione, cercando in questo modo di piegare gli individui.

Lungi da noi il dar credito all’idea di una qualche specie di utilità o giustizia nella “rieducazione statale” dei vari “criminali” o “delinquenti”; vorremmo tutte le carceri abbattute. Perché non può esistere istituzione carceraria senza l’esercizio dell’autorità. Per questo non potranno mai esistere galere anarchiche.

Allo stesso tempo non riconosciamo la giustizia dei tribunali, che nulla fa se non imprigionare. Immaginiamo altri modi di risolvere i conflitti che sono ancora tutti da pensare. Perché quindi raccogliere soldi per un avvocato che deve intentare una causa? Perché alcuni percorsi di lotta, che si sono rivelati radicali e non disposti alla mediazione col nemico, meritano di essere sostenuti, anche se non completamente coincidenti con le nostre tensioni, ma con le giuste precisazioni: è proprio nello spazio tra i diversi fini che può nascere un dibattito e una crescita che riguarda la scelta dei mezzi e degli obiettivi delle lotte stesse.

Le nostre contraddizioni le rendiamo elemento di confronto, senza nasconderle sotto il tappeto.

C’è molto silenzio intorno a ciò che avviene tra quelle mura, sarà forse che alcune dinamiche istituzionali è meglio che restino dietro ad una cortina di fumo? Che non vengano viste? In fondo è molto più comodo non vedere, perché per molti il non vedere è il modo migliore per essere a posto con la coscienza. Chi se ne frega se qualche disadattato muore in carcere! Specialmente quando le cose “importanti” sono altre: andare a vendersi otto ore al giorno in qualche fabbrica o ufficio, risparmiare per potersi comprare una bella maglia firmata, o preoccuparsi del perché nessuno ha cliccato “mi piace” sull’ultimo selfie pubblicato su quello schifo di Facebook.

Si, è decisamente meglio non vedere. Ma non per tutti. Lo Stato prospera sulle spalle di chi si prostra all’accettazione. Si nutre dell’ignoranza e del menefreghismo pigro di tutti coloro che vivono una vita addomesticata. I potenti ci vorrebbero deboli, soli e consenzienti. Molto spesso sono accontentati. Noi ripudiamo la società, provando disgusto, rabbia e fastidio verso ogni suo meccanismo e complice. Il carcere è semplicemente la materializzazione di un sistema fascista, violento, autoritario e corrotto. E così come ogni singolo mattone o sbarra è da demolire per privare il sistema di uno dei suoi cardini, ogni funzionario di Stato, a partire dal basso, dovrebbe essere considerato nemico, bersaglio e ostacolo della nostra tensione verso un mondo libero.

Lo Stato uccide e tortura, distruggerlo sotto ogni aspetto è il primo passo per tutte quelle persone che non sono disponibili a svendere la propria dignità e che non sono più disposte a sopportare in silenzio.

Fuoco alle Carceri.
Fuoco alle polveri.
Fuoco al sistema.
Inseguiamo il sogno di una vita libera.

La Ciurma del Galeone Occupato

IL GALEONE E’ SALPATO

In questo mondo siamo spettatori passivi. La volontà può essere espressa solo mediante la disponibilità economica dell’individuo, è questo il principio che sta alla base della società. Ne segue che senza il denaro hai le mani legate, e per avere il denaro te le devi legare a un lavoro.

È la coscienza di questo ricatto ad avere sviluppato in noi la consapevolezza che sia giusto e necessario prendere senza mediazione alcuna: è per questo che abbiamo occupato. Occupare per avere un posto dove vivere e dove creare possibilità di rottura. Occupare per sperimentare la nostra capacità di concretizzazione dei desideri che ci animano. Occupare, infine, perché ci andava di farlo.

Il ricatto risulta essere un fattore sostanziale dell’attuale assetto socio-economico: per questo i tentativi di rifiuto vengono puniti. La repressione ha quindi obbiettivi di reazione al fenomeno in corso, ma anche di deterrenza, instillandoci il terrore di allungare la mano. Perciò è con consapevolezza che diciamo che l’occupazione non sarà il fine ultimo, bensì un mezzo per creare relazioni qualitativamente migliori che concorrano al sovvertimento di questo mondo di merda.

Ed è in questa lotta che il nostro Galeone non potrà che venire attaccato dalle forze repressive che mirano al mantenimento dell’esistente. Ma questo non ci impedirà di partire per questa avventura verso l’ignoto.

Tutti i lunedì, ore 21:00, assemblea del Galeone Occupato

La ciurma del Galeone Via Lucchese 65, angolo via Firenze – Pisa